L’acquedotto di Sangano
'L vèrmot ëd Sangon

L'acqua di Torino
Lago Baronis

L’acqua a Torino
Di Carlo Bima

L'acqua fornita dai pozzi torinesi, in special modo da quelli poco profondi, andava facendosi sempre meno buona per il quotidiano inquinamento del sottosuolo causato dalla decomposizione delle materie organiche di rifiuto.
Il fenomeno, naturalmente, s'accompagnava all'espansione edilizia della città e fu appunto per assicurarle i mezzi capaci di garantire, sul piano igienico, un adeguato e sereno incremento demografico che autorità, medici ed esperti orientarono i loro sforzi verso l'unica soluzione possibile: quella cioè di procedere alla realizzazione d'opportune condutture sotterranee, in grado di apportare direttamente nelle case l'acqua salubre e pura delle sorgenti o, quanto meno, di falde acquee lontane dai centri abitati e perciò non soggetta ad inquinamento.
La questione era già stata trattata da Carlo Richa nella sua Constitutio Epidemica Taurinensis, uscita intorno al 1720, e nel 1788 tale necessità fu autorevolmente sostenuta da quella che può considerarsi una fra le prime analisi delle acque torinesi, pubblicata dal Marchese di Brezé nel III volume delle Mémoires de l'Académie Royale des Sciences de Turin.
Durante il primo trentennio del secolo scorso le acque di molti pozzi furono sottoposte ad ulteriori analisi da parte del Cantù, con risultati sempre meno favorevoli nei riguardi dell'igiene cittadina; di qui le crescenti ansie delle autorità, accompagnate dal desiderio della popolazione di veder finalmente affluire a Torino acque salubri, opportunamente incanalate con mezzi ed accorgimenti atti a preservarle da ogni possibile contaminazione.
D esiderata della popolazione torinese avevano avuto favorevole eco alla Corte di Carlo Felice e nel 1832 - un anno dopo la scomparsa del Re - la sua vedova Maria Cristina incaricava l'ingegner Ignazio Michela di studiare i mezzi più idonei per convogliare a Torino “acqua potabile di sorgente, sempre fresca, sempre pura, sempre abbondante, derivandola direttamente dalle Alpi o da luoghi elevati che poco distassero dalle medesime”.
«L'acqua di tali alti siti derivata doveva arrivare da sè, e per la sola pressione propria, a tutte le case di questa città ed a tutti i piani delle medesime, liberando così gli abitanti dell'incomodo e della spesa di dover attingere l'acqua da bere da pozzi quasi sempre inquinati, portarla a mano su per le scale, sulle quali non puossi far a meno di versarne sempre qualche porzione, la quale è sovente cagione di pericolo per chi è obbligato a montare e discendere per le medesime, principalmente in ragione del gelo che vi si produce nell'inverno... ».
La relazione, dettagliatissima, presentata dall'ingegner Michela alla Sovrana prevedeva sei progetti atti a fornire Torino di acqua potabile, derivandola dalla Sacra di San Michele, dai Laghi di Avigliana, dalla Valle della Dora, presso Pianezza, dalla sorgente del Sangone, da pozzi da costruirsi fra Collegno e Grugliasco e, infine, da fontane già esistenti alla periferia della città, lungo il corso della Dora.
Maria Cristina, resa edotta nel frattempo che un gruppo di facoltosi cittadini intendeva costituirsi in società onde fornire Torino di acqua potabile, mise a loro disposizione il progetto Michela, offrendosi inoltre di concorrere finanziariamente alle spese, a condizione che l'acqua venisse fornita « gratuitamente e a perpetuità » a tutti gli istituti di beneficenza torinesi.
Questi sentimenti della Regina, aggiunti al suo augusto appoggio per una felice risoluzione del problema idrico di Torino, furono sottolineati con lusinghiere parole nel « Rapport de la Comission chargée par la Sociètè promotrice d'étudier la conduite d'eaux potables pour la Ville de Turin »; questa Commissione, costituita l'8 giugno 1847, aveva avuto l'incarico di scegliere il migliore fra i sei progetti sottoposti dall'ingegner Michela all'approvazione della Sovrana.
«Qu'il soit permis, Messieurs, à votre Commission - leggiamo nella presentazione del Rapporto - de renouveler ici les remercimens (sic) de la Société envers S. M. la Reine Marie Christine de glorieuse mémoire, remercimens que vous avez dejà exprimés dans votre première séance du 8 juin 1847. En donnant à la Société cette haute preuve de sa Royale protection, S. M. a puissamment facilité et encouragé ses recherches, et ce ne sera pas l'un des moindres titres qui feront bénir sa mémoire par tous les habitants de cette grande cité».
La Società venne ufficialmente costituita nel giugno del 1847 e nella rosa dei suoi primi cinquantatré fondatori (fra i quali figura il nome illustre del Conte Camillo Cavour) si elesse la Commissione, dianzi accennata, presieduta dal Conte Filippo di Collobiano, la quale - dopo l'analisi delle acque e un ponderato esame della parte tecnica e finanziaria dei sei progetti presentati - fu unanimemente concorde nel dare la preferenza a quello della Val Sangone.
Il rapporto della Commissione era stato elaborato dal Commissario Despine, che lo sottopose al giudizio dell'Assemblea Generale della Società il 20 luglio 1852. Il contenuto di questa relazione, così importante per la storia degli acquedotti torinesi, meriterebbe di essere riportato integralmente perchè rispecchia la diligenza e lo scrupolo scientifico impiegati dalla Commissione nell'assolvere il laborioso mandato conferitole dalla fiducia di Maria Cristina, per la quale la realizzazione del primo acquedotto piemontese rappresentava l'ultima e nobile aspirazione perseguita negli anni del patetico e solitario tramonto.
Nella parte che si riferisce alle analisi risulta che «l'acqua del Sangone è acqua potabile dolce, non cruda, non selenitosa, contiene appena 19 milligrammi di carbonato di calce e tracce appena di solfato, mentre l'acqua della bealera Cossola, come quella della fontana di Santa Barbara, come quella dei pozzi di Torino, ha invece un residuo fisso di 395 milligrammi, fra cui 125 di carbonato di calce, 159 di solfato di calce e 70 milligrammi di solfato di magnesio; che l'acqua della sorgente del Sangone era acqua purissima e cuoceva i legumi in un'ora e mezza, mentre per quella della fontana di Santa Barbara, dei pozzi di Torino e della Cossola ci volevano due ore».
Nuove analisi eseguite dal professor Borsarelli dimostrarono successivamente che «l'acqua del Sangone non conteneva più di 80/100 milligrammi di principi fissi e piccolissima quantità di materia organica».
Riguardo alle sorgenti, la Relazione precisa la loro profondità in metri 5,50, «costituita da 2,25 di terra vegetale e 3,25 di piccoli e grossi ciottoli e sabbia (cailloux et graviers). Approfondendo sempre più i pozzi, fino a m. 7, le acque aumentavano esse pure. Non si andò più oltre in questo lavoro essendosi manifestato troppo dispendioso ...à cause de Véboulement des parois des puits».
Secondo i calcoli eseguiti dall'ingegner Michela la conduttura avrebbe dovuto portare a Torino 40.000 metri cubi d'acqua, i quali, « colando tutto l'anno, avrebbero fornito 14.640.000 metri cubi e, colando solo 20 ore al giorno, 11.200.000 metri cubi ».
La Commissione si documentò inoltre circa la quantità di acqua prò capite fornita quotidianamente dagli acquedotti delle maggiori città, allo scopo di poter, su questa base, calcolarne il quantitativo medio occorrente alla popolazione torinese.
In possesso di tali dati la Società si propose allora di fornire 66 litri al giorno per ciascun abitante, vale a dire 8.580 metri cubi per l'intera popolazione, che s'aggirava allora sulle 150.000 unità. Tale quantitativo, con l'ausilio delle fontane già esistenti, avrebbe potuto raggiungere i 20.000 metri cubi, sorpassando così largamente il fabbisogno preventivato.
Gli altri cinque progetti, compresi nella Relazione Michela, non furono presi in considerazione giacché quello della Val Sangone, pur essendo più oneroso, presentava sugli altri i vantaggi derivanti dai risultati positivi delle analisi e degli studi condotti in loco; l'esame dei campioni, infatti, specificava trattarsi di «acque chimicamente pure e molto dolci, copiose, che - provenendo dall'alto - avrebbero raggiunto in città una maggiore elevatezza e i cui lavori di conduttura richiedevano minore profondità».
Contrariamente alle previsioni le falde d'acqua situate sulla sponda sinistra del Sangone risultarono assai meno ricche di quanto avessero stabilito gli esperti, tanto da indurre la Società ad acquistare, sulla sponda destra del torrente, la vasta tenuta della Contessa Malines, sita nel territorio di Bruino, dove - oltre la copiosa fontana Lilla - si potevano sfruttare le ottime sorgenti Baronis, poste a circa un chilometro a monte dell'attuale galleria di sinistra.
Con atto notarile rogato nel luglio del 1852 furono approvati gli Statuti della Società Anonima per la condotta delle Acque Potabili in Torino, «per l'oggetto di derivare nella Valle del Sangone acque potabili e quelle condurre a Torino e distribuire a domicilio e sulle piazze e luoghi pubblici»; e finalmente, il 13 agosto 1853, la Società otteneva dal Municipio la concessione di «collocare sotto il suolo delle piazze, vie e siti pubblici, suoi borghi e territorio, i tubi conduttori delle acque medesime», sottoscrivendo così l'atto di nascita del primo moderno acquedotto cittadino.
«L'anno del Signore- milleottocentocinquantatre - precisa il testo integrale dell'atto di concessione - il 13 agosto, in Torino, dopo il mezzogiorno, nel Palazzo Civico e nella solita sala delle congreghe del Consiglio delegato, alla presenza del medesimo, ivi avanti a me regio notaio e segretario di questa Città sottoscritto ed alla presenza dei signori avvocato Vincenzo Miglietti, nato a Moncalieri, e Francesco Ferraudi, nato in questa Città, ambi dimoranti in questa, testimoni idonei, richiesti, astanti e cogniti meco, e colle parti a me ed ai testimoni cognite, tutti a pie del presente con me notaio sottoscritti.
Personalmente costituita avanti a me avvocato Luigi Vigna, regio notaio e segretario di questo Municipio ed alla presenza dei sunnominati testimoni, la Città di Torino, in persona del cavaliere ed avvocato Giovanni Battista Notta, deputato al Parlamento nazionale, di lei Sindaco, con assistenza del Consiglio delegato.
E la Società anonima costituita col nome di Società anonima per la condotta di acque potabili in Torino, rappresentata dai signori commendatore Carlo Maria Giuseppe Despine, deputato al Parlamento, del fu Giuseppe, e Marchese Vittorio Balestrino del Carretto, pure deputato al Parlamento nazionale, del Marchese Domenico, entrambi dimoranti in questa città, specialmente delegati dalla Società stessa per la stipulazione di questo atto.
Hanno convenuto e stipulato, convengono e stipulano quanto segue:
1°) Il signor cavaliere avvocato Notta, Sindaco, coerentemente al voto emesso dal Consiglio comunale nelle sedute delli 14 e 15 dell'ora scorso luglio, usando delle facoltà conferitegli, a nome e nell'interesse del Municipio concede alla Società anonima, costituita con atto del 20 luglio 1852 (rogato Albasio, insinuato in Torino il 6 del successivo agosto col diritto pagato di lire trecentosessanta e centesimi diciotto) per l'oggetto di derivare nella valle del Sangone acque potabili, quelle condurre a Torino e distribuire a domicilio e sulle piazze e luoghi pubblici, la facoltà di collocare sotto il suolo delle vie, piazze, e siti pubblici di questa città, suoi borghi è territorio, i tubi conduttori e distributori delle acque suindicate.
2°) La Società anonima, nella persona del di lei rappresentanti sovra nominati, accettando la concessione come avanti fattale, promette e si obbliga di usare della concessione stessa osservando esattamente le condizioni generali approvate dal Consiglio comunale, statele prima d'ora comunicate, e che, sottoscritte dalle parti con la data d'oggi, si mandano inserire a quest'atto siccome parte integrante del medesimo.
3°) In esecuzione intanto del prescritto secondo articolo delle condizioni generali preaccennate, la Società anonima per la condotta in Torino delle acque da derivarsi nella valle del Sangone, giusta i piani da essa formati, dichiara che la quantità di dette acque ch'essa intende sin d'ora di condurre in Torino, si è di ventimila metri cubi circa in 24 ore (mille pollici), da aumentarsi tale quantità sino ad ottantamila metri cubi nelle 24 ore tosto che se ne presenti l'utile impiego.
4°) In esecuzione di quanto è prescritto nel paragrafo 1° dell'articolo IV delle condizioni generali la Società stessa dichiara che essa darà cominciamento ai lavori occorrenti per la esecuzione dell'opera trascorso un mese dal giorno in cui avrà ottenuta la domandata dichiarazione di pubblica utilità, e, salvi i casi di forza maggiore, condurrà la medesima al suo termine, porrà cioè la condotta e distribuzione delle acque in stato di perfetto esercizio, nel periodo di due anni computandi da quello in cui le opere devono, come avanti, essere incominciate.
A spiegazione di quanto sovra e per l'oggetto di provvedere convenientemente nell'interesse anche della Città, si dichiara che l'obbligazione come avanti assunta dalla Società si avrà per eseguita quando la Società nel termine su indicato di due anni abbia compiutamente provvisto per la condotta delle sue acque in Torino, e per l'intubamento delle infraindicate vie principali, cioè Doragrossa, contrada di Po, contrada nuova e di Porta Nuova, contrada di Santa Teresa e di San Filippo, contrada Alfieri e dell'Ospedale, contrada dell'Accademia delle scienze e dei Conciatori, contrada di Borgo nuovo, contrada di Porta d'Italia e della Consolata.
Con tale dichiarazione però nulla s'intenderà detratto alla obbligazione imposta alla Società concessionaria dall'articolo V° delle condizioni generali, ed anzi la Società prenominata si obbliga formalmente di provvedere, tosto seguito l'intubamento nelle vie principali, all'intubamento nelle altre vie secondo le richieste che verranno fatte e nei termini che verranno fissati dal Municipio.
5°) Per uniformarsi finalmente al prescritto del paragrafo II° del succitato articolo IV° la Società concessionaria mentre dichiara ascendere la spesa presunta dell'opera alla somma di lire sei milioni, si obbliga di depositare nella cassa del Municipio altrettante cedole ed obbligazioni dello Stato della rendita di lire quindicimila, da eseguirsi tale deposito prima che la Società intraprenda l'esecuzione di opere per la detta condotta di acque potabili.
A maggiore spiegazione della disposizione contenuta nello alinea primo del succitato paragrafo II, articolo IV°, la Società concessionaria si obbliga, venendo il caso della perdita della somma depositata per le cause nell'articolo stesso contemplate, di rappresentare al Municipio sulla richiesta del signor Sindaco la somma a che sul detto deposito già le fosse stata pagata.
Le parti promettono di eseguire ed osservare fedelmente li patti avanti formulati.
Le spese del presente si pattuiscono a totale carico della Società.

E richiesto, io notaio ho ricevuto questo pubblico istrumento, e dopo averlo letto ad alta, chiara ed intelligibile voce alle parti stipulanti, in presenza ed a piena intelligenza anche dei testimoni come dichiarano, si sono tutti, come segue, con me notaio sottoscritti.
In originale firmati: NOTTA GIOVANNI, Sindaco

CHARLES MARIA DESPINE
VITTORIO DEL CARRETTO
VINCENZO MIGLIETTI, teste
FRANCESCO FERRAUDI, teste.

La presente minuta, scritta dal signor Francesco Ferraudi, contiene fogli quattro, pagine scritte sei, compresa la presente, oltre all'inserzione.

firmato VIGNA, Segretario ».

Sei anni dopo l'impianto di Val Sangone era in grado di funzionare, con una potenzialità massima di 650 litri al secondo, una media di 400 e una minima di 100. Gli sforzi della Società ebbero il meritato riconoscimento la domenica 6 marzo 1859, giorno in cui autorità e popolo salutarono esultanti lo zampillo augurale della fontana di piazza Carlo Felice.
L'inaugurazione del primo acquedotto torinese avrebbe dovuto essere solennizzata dalla presenza del Conte di Cavour, ma erano giorni di febbrile e ansiosa vigilia d'armi per il nostro Piemonte, che si preparava alla guerra contro l'Austria, e il Presidente del Consiglio, nell'impossibilità di liberarsi dai pressanti impegni dell'ora, fu sostituito alla cerimonia inaugurale dal Ministro dei Lavori Pubblici.
Agli entusiastici consensi della folla si univano le fanfare della Guardia Nazionale, i discorsi del Presidente della Società, del Ministro, del Sindaco, concordi nel celebrare lo straordinario avvenimento che poneva Torino all'avanguardia delle città più progredite.
Anche la stampa cittadina, partecipe della gioia popolare, dedicava largo spazio alla storica giornata: «La fontana provvisoria - così scriveva la Gazzetta del Popolo il 7 marzo 1859 - che fu preparata in piazza Carlo Felice alle ore 10 e mezzo in presenza dei ministri e del corpo municipale, elevava il suo enorme getto alla prodigiosa altezza di oltre venticinque metri.
Furono generali e fragorosi gli applausi che accolsero questa felicissima prova, e di fatti le azioni che prima erano così depresse, si negoziarono dopo il mezzo giorno con un considerevole aumento. Dopo tante imprese andate a male per pessima amministrazione, fa piacere di vederne una che come la presente, essendo almeno in ultimo amministrata da oneste ed intelligenti persone, non ha così fallito alla confidenza degli azionisti. Ora dopo questo ottimo risultato è più che probabile che il Municipio venga anche in appoggio della Società e così questa si avvierà sempre più verso una proficua sistemazione.
«Siccome poi il getto - concludeva l'articolista - elevandosi a così straordinaria altezza era causa che il corpo d'acqua convertendosi in pioggia veniva ad adacquare gran parte della piazza, fu giocoforza moderarlo. Ma nei giorni di lunedì e martedì dalle 12 all'una si rinnoverà la spinta dell'acqua alla massima altezza, e ciò serva d'avviso per quelli che intendono godere di questo singolare spettacolo».
L'impianto iniziale di questo primo acquedotto si componeva di alcune gallerie d'attingimento, situate a Sangano, presso Trana, in sponda sinistra del torrente Sangone, le quali, unite a quella, situata a sponda destra, che nel territorio di Bruino raccoglieva le acque della sorgente Lilla, davano origine a un canale in muratura, a pelo libero, che passando in vicinanza di Rivalta e di Grugliasco, si spingeva, con percorso d'una decina di chilometri, fin presso la località denominata Baraccone (ora Regina Margherita), frazione di Collegno a sud della strada di Rivoli.
L'acqua veniva raccolta in un serbatoio a forma di galleria, della capacità di 2.600 metri cubi, e di qui, scorrendo sotto l'attuale corso Francia, scendeva per gravità attraverso una conduttura del diametro di 450 millimetri (costruita in lamiera di ferro chiodata e stagnata tipo Chameroix, con giunti a piombo) per arrivare fino a piazza Carlo Felice. Da questo condotto principale si dipartivano le prime tubature secondarie (costruite parte in lamiera chiodata, come la principale, e parte in ghisa), formanti la rete di distribuzione che abbracciava allora una zona abbastanza estesa del centro tradizionale di Torino.
La potenzialità di questo impianto, che inizialmente raggiungeva una portata media di circa 200 litri al secondo (le portate massima e minima oscillavano fra i 300 e gli 80 litri), ebbe a subire un deciso miglioramento rispetto al quantitativo limitato d'acqua che era stato possibile erogare nel 1859 (220.000 metri cubi); tale miglioramento, dovuto alla graduale estensione delle gallerie di presa, censenti ben presto di aumentare le portate originarie degli impianti che salirono a 730.000 metri cubi nel 1860, a 775.000 nel 1861, fino a raggiungere, nel 1862, il milione di metri cubi all'anno.
Se pensiamo che nel 1860 la popolazione di Torino non aveva ancora raggiunto i 200.000 abitanti potrà forse stupire l'esiguità di una erogazione media giornaliera di soli 10 litri prò capite, quando si era calcolato che gli impianti di attingimento avrebbero potuto largamente soddisfare le richieste in ragione di 7 milioni di metri cubi all'anno, equivalenti ad un consumo giornaliero di 100 litri prò capite.
Questa situazione era in parte dovuta alle ristrettezze finanziarie delle classi meno abbienti dei cittadini, i quali, trovandosi nell'alternativa di dover attingere gratuitamente - se pur con qualche fatica - l'acqua dei pozzi, o allacciarsi alle condutture dell'acquedotto (che li avrebbe liberati da quella schiavitù, vincolandoli - però - al gravame di un canone fisso), preferivano a ragion veduta affrontare i disagi della prima soluzione.
Il prezzo per ogni metro cubo d'acqua, approvato dal Comune, era di 23 centesimi (pari a circa 100 lire d'oggi), non esoso, cioè, ma pur sempre insostenibile per molti budgets di quel tempo, se ci si riporta al reddito medio di un secolo fa.
Occorre tuttavia aggiungere, per ragioni di obiettività, che, nonostante il contributo delle sorgenti Baronis, la Società riusciva appena a stento, e saltuariamente, a saturare la conduttura adducente l'acqua in città (cioè ad assicurare l'afflusso di 180 litri al secondo, pari a 15.500 metri cubi giornalieri); in più, nel cuore dell'inverno e dell'estate il gelo e la magra riducevano molto spesso la portata del condotto a meno di 100 litri al secondo.
La situazione doveva ancora peggiorare nel 1862, anno in cui ad un massimo di 140 litri, registrato nella stagione propizia, corrispose - negli anni precedenti il 1880 - un minimo oscillante dai 40 ai 30 litri, come si può rilevare dalla pubblicazione dell'avvocato Claudio Calandra: «Una questione di acque», stampata appunto in quell'anno.
Un primo e sensibile miglioramento cominciò a manifestarsi verso la fine del secolo, quando la Società decise di procedere a lavori di miglioria e di protezione degli impianti; questi lavori comprendevano la costruzione di due serbatoi, di cui uno - il cosiddetto serbatoio Michela - presso Sangano, della capacità di 2000 metri cubi, il secondo di 7600 in località Baraccone, nonché la posa in opera di tre grosse condutture in ghisa (due da 600 e una da 450 millimetri) nel tratto compreso fra Baraccone e il centro della città.
Ebbene, malgrado tutti questi lavori d'ammodernamento, aggiunti all'apporto sussidiario di acque superficiali e non sorgive convogliate dalla Bealera di Rivoli, da quelle di Bruino e Sangano (dette Canale delle tre onde), situate entrambe presso la galleria destra, e delle Bealere dei Prati e della Valletta, sulla galleria sinistra, la Società non fu mai in grado di assicurare (almeno fino agli inizi del '900) il quantitativo minimo - 20.000 metri cubi al giorno - previsto dalla convenzione del 1853, neppure nelle stagioni favorevoli.
Durante l'intero periodo degli anni caldi nei rapporti fra il Comune e la Società, quest'ultima si difese energicamente, sia sul piano scientifico (con la nomina di una Commissione formata di eminenti studiosi ed esperti, e lo vedremo in seguito), sia dal punto di vista morale e psicologico, volendo dimostrare l'infondatezza delle critiche mosse ad una gestione che aveva fatto tutto quanto era umanamente possibile per fronteggiare i complessi problemi inerenti al servizio idrico della Città.
Fra i difensori della Società troviamo un focoso azionista - Raimondo Cugia-De Litala - il quale, nel 1864, licenziò alle stampe una originale monografia in cui le ragioni dell'acquedotto privato sono esposte con inusitato ardore polemico che merita l'onore della citazione. «Errammo, e grandemente! Così, picchiandosi il petto dovrebbero giornalmente esclamare i fondatori di questa società; ed io prima di ogni altro, colla fronte coperta di cenere, posta sotto l'altissimo getto cristallino che innaffia ed abbella la piazza Carlo Felice di questa capitale, dovrei confessare il mio errore e tentare con questo scritto di farne pubblica ammenda, a profitto d'altre società che volessero per avventura ad un simile oggetto costituirsi e per eccitamento all'equità ed al buon governo dei municipii, cui corra l'obbligo di beneficiare in egual modo i loro amministrati coll'abbondanza d'uno dei più salutari e vitali elementi di ben essere e di prosperità.
«Errammo tutti! ripetiamo a coro, o miei colleghi; che già non può nessuno di noi celare a se stesso questa troppo costosa e dolente verità. Ma non si allegrino a tanta confessione gli interessati o incauti oppositori all'opera nostra, che da tanti anni si arrovellano a trovar modo di perseguitare questa società e dì condurla in rovina. Errammo, è vero, ma il nostro errore fondamentale, da cui gli altri derivarono, fu quello d'aver sempre dimenticato i nostri individuali interessi nel promuovere, nell'attuare e nel condurre a termine un'impresa, che oggi è il più grande beneficio e il più grande monumento che illustri questa città; errammo nel sottoporre a grave rischio le nostre fortune e nel perseverare, senza premeditazioni, senza cautele, senza artificii, fidando unicamente sulla riconoscenza che avevamo diritto di sperare dai nostri concittadini, i quali solo ora cominciano ad apprezzare gli utili risultamenti delle fatiche e dei sagrifizi da tutti e da ognuno di noi coraggiosamente sostenuti.
«Questo fu l'unico nostro errore - ribatte ancora l'indignato azionista - e perchè ad ognuno ciò appaia manifesto, e perchè altri possa in ogni evento premunirsi contro le funeste conseguenze del medesimo, permettete, o miei lettori, che io vi narri qui, per quanto è più possibile brevemente, la storia di questa società, la quale racchiude molte verità, ignorate che la onorano e possono servire altrui di grande insegnamento».
Dopo aver tracciato una breve cronistoria degli avvenimenti che portarono alla costituzione dell'Acquedotto di Val Sangone nel 1859, il De Litala passa ad elencare le norme statutarie relative al lato finanziario dell'impresa; a questo riguardo sappiamo che la Società «duratura per sessanta anni» con facoltà di poter rinnovare la sua ragione sociale, si componeva, oltre che della concessione governativa, «di una somma di L. 3.000.000 condivisa in 6/m. azioni da L. 500 cadauna; con facoltà di poter emettere nuove azioni allorquando per l'ampliazione dell'opera fosse necessario un maggior capitale ; che questa Società amministrata secondo le deliberazioni adottate dall'assemblea generale degli azionisti da un comitato di direzione, è rappresentata da un gerente direttore, il quale in esecuzione delle deliberazioni del comitato di direzione, ed in conformità di esse, provvede a tutti gli interessi della Società e ne esercita tutti gli atti conservatori; che questa Società dovrà agire nel suo sviluppo, nel suo progresso e nella sua amministrazione colla norma dei bilanci preventivi, riservando sempre sugli utili un fondo di riserva per provvedere ai bisogni imprevisti ed alle spese straordinarie prima che gli utili depurati da ogni gravezza si ripartiscano a titolo di dividendo fra gli azionisti.

SAGAT
Anno: 1961

 

Il Lago Baronis

Il lago Baronis e il Consorzio Argini e Praterie di Trana

Questa è la vera storia di un lago sorto con il lavoro delle braccia di una civiltà contadina e alimentato da un ramo d'acqua conteso per circa settecento anni, condensata in un sunto perentorio.
Le prime notizie risalgono all'anno 1335 allorchè i Signori di Rivalta di Torino erano già in possesso di una derivazione di acqua dal torrente Sangone sita in territorio di Trana, acqua che giungeva a quel comune dopo aver asservito agli usi irrigatori proprio nella zona “basse” di Trana, ed è proprio quanto riportato da Aimone di Challant, Bajlo di Susa, nella sentenza del 26 luglio 1351 che poneva la sordina alla precedente sentenza arbitrale a rogito del 7 gennaio 1349 in cui anche Piossasco rivendicava una parte di acqua da provenirsi da quel luogo in sponda opposta.
Centinaia di anni trascorsero da allora, come pure centinaia di sentenze tentarono di quietare i vari ricorrenti che reclamavano diritti acquisiti o acquistati in ragione di acqua proprio da quel tratto di torrente senza però mai raggiungere una ragionevole spartizione o creare un equilibrio.
Dopo un lungo salto nel tempo, arrivando all'anno 1877, assistiamo naturalmente ad una migliore e più chiara configurazione giuridica dei vari enti locali e non; la questionata derivazione di acqua dal torrente Sangone assume la denominazione “Consorzio Argini e Praterie di Trana e Comune di Trana” arrogandosi ufficialmente l'onere dell'attingimento dell'acqua dal torrente e della sua distribuzione ai fondi cui i proprietari terrieri si erano consorziati per l'irrigazione.
Detto questo balziamo all'anno 1879 e nei manoscritti di una ennesima causa tra le antiche parti compare, con intervento volontario, un nuovo attore per la prima volta: la “Società Anonima delle Acque Potabili di Torino”. Ed è proprio questa Società delle Acque che, passando anche da una muscolare azione di acquisizione di diversi beni e poderi nei vari comuni interessati, di buon accordo con tutte le parti, senza prescindere dalle leggi, ha sopito per sempre le secolari diatribe con convenienti scambi e transazioni incentrate sull'uso delle acque.
Per quanto riguarda la comunità di Trana, essa ne ha beneficiato nella “zona prati” con la costruzione della nuova e più capillare rete di canali per l'irrigazione le cui acque di risulta, prima di essere condotte verso Rivalta, si ricongiungono in una enorme vasca anch'essa di nuova
realizzazione: il lago Baronis, che riporta il nome della antica borgata lì esistente a quel tempo.
In conclusione si può proprio dire che a volte la storia si ripete.
Ad oggi scorre l'anno 2017 e dopo oltre un secolo e mezzo lo stesso Consorzio continua a gestire le acque nuovamente contese, inoltre una manciata di ambiziosi concittadini Tranesi ha riportato allo splendore il lago Baronis, naturalizzatosi nell'ambiente, ancora con il prezioso e fattivo supporto della attuale Società Metropolitana Acque di Torino che ha concesso in uso anche gli annessi terreni e permettendo così di dare vita al “Parco naturalistico Lago Baronis di Trana”. Aperto al pubblico, viene definito dai mass-media come un progetto innovativo in Italia, esso contempla ovviamente la pesca di lago, la pesca di fiume nel latistante Rio Barasette adattato allo scopo, camminamenti lungolago su due livelli per passeggiate diurne e anche serali con illuminazione totale, aree ombreggiate e soleggiate per picnic/relax/eventi, bosco ceduo con percorso didattico e percorso fitness, punti di rinfresco e snack, senza dimenticare che a corredo di ciò troviamo il campo di calcio, campo di calcetto, bocce, tennis, tutto adiacente al lago ed immerso in un solenne tonificante eppur festoso silenzio secolare.

a cura Renato Ruffino

 

Anno 1950
azzurro=lago Baronis - verde= prati

Il lago dall'alto

 

 

 

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Maria Teresa Pasquero Andruetto